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Quali sono gli errori più comuni nelle relazioni legate preconcetti sociali?
Gli errori più comuni nelle relazioni legate preconcetti sociali sono che non si deve dire di no e non si possono mettere i limiti agli altri.
Non si deve dire di no (“sei poco disponibile/buono”)
A tutti noi è capitato di voler dire di no, di volerci ribellare a qualcosa che non ci andava bene, di voler esprimere disappunto o di voler chiedere chiarimenti su qualcosa che non avevamo ben compreso, ma di non aver avuto il coraggio di esporci per esprimere il nostro pensiero.
Ci sono diversi motivi per i quali ci risulta difficile dire di no:
· la paura di ferire gli altri,
· la paura di rompere una relazione,
· la paura di una ritorsione,
· la paura di disattendere le aspettative degli altri,
· la paura di essere giudicati negativamente dagli altri,
· di non essere accettati,
· di venire esclusi dal gruppo.
Sarebbe quindi più facile chiudere un occhio, fare qualcosa anche se non ne avevamo voglia oppure di adeguarci al pensiero comune. Ma cosa dimentichiamo cosi? Noi stessi.
E cosi ci ritroviamo infastiditi, arrabbiati perché ci siamo nuovamente sentiti impotenti, manipolati, lasciando in secondo piano i nostri bisogni per accontentare gli altri.
Altre volte si è passivi per paura di ferire gli altri, ma ricordiamo: noi non siamo responsabili delle emozioni altrui e il modo in cui l’altro reagisce a ciò che noi diciamo o facciamo non dipende da noi.
Un rapporto interpersonale soddisfacente richiede la capacità di rifiutare le richieste altrui quando non le riteniamo giuste o possibili e di avanzare richieste agli altri quando sono ragionevoli.
E' sera, ti chiama un’amica per invitarti a uscire per un aperitivo, ma tu sei stanca e avresti solo voluto sdraiarti in divano. La tua amica ha bisogno di uscire. In mezz'ora ti ritrovi seduta in un bar, stanca, annoiata e inizi anche a provare un certo fastidio per la tua amica che, alla fine, ti ha messo in quella situazione. Tutto questo per la tua incapacità di dire di no alla sua offerta per non sentirti in colpa. L'educazione è una buona auto-illusione con cui possiamo giustificare questi nostri modi di fare.
Cosa succede a dire sempre sì?
· Non si è mai se stessi
· Si dà un consenso agli altri di approfittarsi di noi
· Maggiore stress e insoddisfazione
· Si dedicano tempo ed energie a fare cose che non si vuole fare
· Ci si fa carico delle responsabilità degli altri
· Non si responsabilizzano le altre persone (amici, figli, collaboratori, ecc.)
Non si possono mettere limiti!
Ci sono diverse ragioni per le quali è difficile stabilire dei limiti. Gli esseri umani sono complessi e l’interazione sociale a volte diventa confusa.
I limiti nelle relazioni sono linee metaforiche che non devono essere superate. Alcuni sono impliciti nel pensiero collettivo, come il tabù sull’omicidio, ma altri devono essere stabiliti in ogni relazione.
Diventa difficile stabilire dei limiti quando gli altri li ignorano, quando le conseguenze sono negative o quando la fiducia in sé stessi vacilla. Le principali paure:
1. Paura del conflitto: Per alcune persone è difficile stabilire dei limiti, poiché sono molto sensibili alle discussioni.
5. Necessità di compiacere gli altri: Spesso sembra impossibile dire “no” alle richieste altrui perché si avverte il bisogno di compiacere gli altri. Ciò, a sua volta, si lega all’idea che compiacere assicurerà amore e rispetto.
6. Non dimentichiamo il concetto culturale che chi mette sé davanti all’altro è un egoista.
Da dove nasce questo modo di fare, pensare e comportarsi?
Queste convinzioni derivano da speciali processi psicologici, tra i quali ha una particolare importanza il processo di formazione dell’identità, che si basa sull’idea che ogni individuo ha di sé stesso, l’immagine che ha della sua storia personale e del proprio posto nel mondo, delle proprie capacità e aspettative future.
Sono pertanto legate ai percorsi che l’individuo compie durante la sua vita, ai processi di funzionamento della mente, alle strutture della personalità e alle motivazioni individuali che guidano le sue azioni.
La consapevolezza dei limiti serve ad arginare l’invasione del proprio spazio da parte degli altri. Stabilire i limiti con l’altro implica saper dire anche dei NO.
o Il grande timore di chi fa fatica a dire di NO alle più svariate richieste altrui è quello di sentirsi esclusi.
La paura di essere emarginati o rifiutati dal gruppo di appartenenza (lavoro, scuola, amicizie …) è profondamente radicata in ognuno di noi ed è con questa paura che ci dobbiamo confrontare costantemente.
Vedersi esclusi quando si dice NO, quando si prendono le distanze e si difende il proprio spazio è un’esperienza frustrante, difficile da sostenere se non si ha una piena e matura consapevolezza di sé stessi.
La consapevolezza di sé s’impara durante l’infanzia grazie alle buone cure genitoriali che ci permettono di acquisire gli strumenti necessari per aver fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità di relazione garantendo una giusta distanza tra noi e gli altri.
Sentirsi sicuri e amati da bambini permette di crescere, diventare forti, percorrere la propria strada nella vita e diventare autonomi e indipendenti.
È la qualità dell’amore che abbiamo ricevuto dai nostri genitori a determinare in larga parte se in futuro saremo in grado di prenderci il nostro spazio per realizzare appieno noi stessi e a definire i nostri confini.
Chi tende a considerare più importanti gli altri a sé stesso cederà sempre a loro ogni priorità a scapito del proprio benessere.
o Noi siamo liberi di dire di no, è un nostro diritto. Ma viviamo in una cultura in cui il 'no' è visto negativamente. Da quando siamo piccoli ci insegnano che è sbagliato dire di no, che un amico è sempre disponibile e che c'è sempre qualcuno che ne sa più di te ed è più autorevole che non bisogna contraddire.
o Un ultimo punto, ma non meno importante è il ruolo familiare che ci viene cucito addosso durante l’infanzia e poi sviluppato durante l’arco della nostra vita. Ognuno di noi ha un ruolo ben preciso all’interno della famiglia di origine: quello bravo, il collante, l’acquirente, la pecora nera, l’esterno, eccetera, eccetera. Questo ruolo diventa l’identità con cui la persona cresce e in base ad esso si modifica nei propri agiti per rispondere alle esigenze dell’altro. Ad esempio, se una persona fosse “la brava” in famiglia, avrebbe diritto a creare problemi? A dissentire? A litigare per far rispettare i propri bisogni? Certo, allo stesso tempo questa persona ha difficoltà a comprendere che può essere diversa dal ruolo che gli è stato cucito e decidere la propria funzione all’interno del sistema.
Quali sono le conseguenze di relazioni legate a preconcetti sociali?
Spesso e volentieri, le persone con queste difficoltà a mettere limiti, a dire di no e a proteggere i propri bisogni, arrivano in terapia poiché hanno la sensazione che qualcosa non quadri, che qualcosa non stia andando nella direzione giusta, ma non hanno ben chiaro quale sia l’effettivo problema. Quando gli viene chiesto quali siano le difficoltà che li fanno sentire a disagio, allora cominciano a inquadrare problematicità come senso di impotenza, ansia, rabbia e stati depressivi.
Proviamo rabbia, frustrazione, insicurezza, senso di colpa, perché in fondo quello che è successo ci sembra ingiusto ma ci siamo sentiti impotenti, manipolati e perché ancora una volta abbiamo messo in secondo piano i nostri bisogni per accontentare gli altri.
Si cade in bias cognitivi come:
· Mito del vero amico: porta a pensare che chiunque sia un ‘vero amico’ (parenti, coniugi, amici, colleghi) dovrebbe anticipare e capire i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Il vero amico deve venire incontro alle nostre esigenze e le deve capire da solo, senza che noi dobbiamo spiegarci a riguardo. Noi ci aspettiamo che gli altri sappiano capire accuratamente i nostri pensieri, le nostre preferenze e i nostri sentimenti. Ci aspettiamo anche che si comportino di conseguenza. Sfortunatamente, la grande maggioranza della gente non è in grado di fare questo.
è Dal momento che tu sei l’unico a sapere realmente cosa ti passa per la testa in un determinato momento, la responsabilità di far sapere agli altri i suoi sentimenti e i tuoi pensieri è solo tua. Se tu non comunichi a parole e in modo chiaro che cosa vuoi, ti aspetti, desideri, apprezzi, temi, ecc. è molto probabile che le altre persone non saranno in grado di soddisfarti. Di conseguenza aumenterà il tuo risentimento verso di loro, finché arriverai a litigarci oppure a evitarli.
· C'è un altro aspetto importante di questo mito. Un'altra credenza irrazionale molto comune, è che se qualcosa è importante per me, è importante allo stesso modo anche per gli altri. È vero che con l’approfondirsi di un’amicizia le altre persone imparano pian piano ad anticipare e a predire i nostri desideri e i nostri sentimenti. Questo però accade solo dopo che noi li abbiamo espressi con chiarezza e spiegati.
· Mito dell'Obbligo: tale mito è connesso al precedente. L’adesione ad esso comporta da un lato l’incapacità di rifiutare un piacere ad un amico o, più in generale, di dissentire dalle opinioni espresse da persone a cui si desidera piacere; dall’altro la convinzione che ogni richiesta che facciamo agli altri sia un’imposizione e come tale vada evitata per non cagionare fastidio o angustia.
è Al contrario, un rapporto interpersonale soddisfacente e stabile richiede la capacità di non accondiscendere alle richieste altrui qualora non le ritenessimo compatibili con i nostri impegni e di avanzare richieste ragionevoli agli amici. L’unico modo perché il comportamento degli altri possa venir incontro alle nostre necessità è quello di comunicare sempre il nostro punto di vista e le nostre attese.
· Inoltre diamo per scontato che l’altro non voglia accettarci così come siamo, anche se forse a volte siamo noi a voler essere diversi e quindi crediamo di conseguenza che anche gli altri pensino la stessa cosa; chiaramente però non c’è nesso logico tra le due cose.
Non di rado queste impostazioni intrinseche alla persona portano all’evoluzione di scatti di rabbia, stati depressivi o ansiosi. Questo accade perché la rabbia, l’ansia e la depressione sono delle modalità che il nostro cervello attiva in compensazione: la depressione (da non confondere con la tristezza) ci permette di non sentire la rabbia o il dolore, mentre l’ansia e la rabbia sono segnali d’allarme che qualcosa non sta combaciando con le nostre necessità e che urge un cambiamento.
Tante volte, anche se ce ne rendiamo conto, insistiamo a portare avanti una relazione. Come mai?
Perché le persone persistono nonostante sofferenza? A volte perché non sanno come altro comportarsi. Se da sempre gli è stato insegnato che bisogna sacrificare i propri bisogni in funzione degli altri, non hanno idea di come altro modo relazionarsi.
Si tratta di veri e propri schemi comportamentali, che però la persona fatica a vedere essendoci dentro.
Inoltre, le persone tendono a mantenere l’identità creata, soprattutto per paura che il cambiamento possa comportare una perdita di importanza o amore se non rispondono alle esigenze altrui.
Ovviamente una delle scelte che possiamo fare è consultare uno psicologo. In questo caso come funziona la terapia?
Il modo in cui ogni persona si relaziona si basa su questi schemi comportamentali, solitamente rigidi e ripetitivi. Essendoci dentro, la persona fatica a vederli in maniera oggettiva. Altre volte invece, nonostante comprendano autonomamente quali siano gli schemi disadattivi, sono troppo spaventati dal cambiarli per evitare il giudizio, i conflitti o l’abbandono.
È proprio qui che entra in gioco il terapeuta. Il nostro ruolo è quello di aiutare la persona innanzitutto a riconoscere gli schemi disfunzionali nei quali si sente incastrata, lavorare insieme a lei per riuscire a capire meglio le proprie emozioni e che cosa queste stanno cercando di comunicare. Si lavora con il paziente per analizzare il ruolo familiare e sociale che si è creato, le esperienze passate che ancorano un’idea negativa di sé e si crea insieme una nuova visione più funzionale della persona.
Un lavoro psicologico sui limiti certamente può contribuire a spostare la persona da una posizione passiva e di accettazione incondizionata verso il mondo, le relazioni e il futuro, ad una condizione esistenziale più attiva, dove ti consideri artefice del tuo futuro, grazie ad una percezione rinnovata del tuo senso di auto-efficacia.
Aumenterà inoltre il senso di responsabilità diminuendo l’attribuzione di colpa all’altro.
Possiamo fare qualcosa anche da soli?
Capita spesso di dare priorità ai bisogni altrui ignorando i nostri, sentendoci in colpa se rispondiamo "no" alle richieste esterne. Il senso di colpa innesca pensieri di questo tipo: "se non lo faccio, sarò una cattiva amica", "sono un'egoista", "sono una brutta persona perché non la sto aiutando".
Si tratta di pensieri esagerati: mettere sé stessi al primo posto non fa di noi delle cattive persone. Non si tratta di essere egoisti e mettersi sopra gli altri, ma nemmeno di farsi mettere i piedi in testa da nessuno. È giusto trovare un equilibrio.
I limiti servono anche quando si ha la tendenza a prendersi la responsabilità su tutto, a caricarci sulle spalle il peso dei problemi altrui, farci carico di carichi che non ci spettano.
Ci sono diversi tipologie di limiti che possiamo mettere:
- Fisici: come i non voler che si invada lo spazio della tua stanza,
- Mentali: ad esempio staccare quando si è passato troppo tempo davanti a un computer
- Relazionali: ad esempio frequentare meno possibile una persona che ti causa difficoltà e negatività
- Emotivi: come evitare che emozioni negative quali il senso di colpa la frustrazione ti distraggono.
Quattro step per stabilire limiti:
- analizza i tuoi bisogni e i tuoi valori per capire che cosa hai bisogno di ottenere,
- definisci quali sono le possibili soluzioni che ti aiuterebbero a soddisfare i tuoi bisogni in maniera chiara per poterli comunicare senza incertezza,
- comunica i limiti stabiliti in modo da non cadere nella trappola di aspettarti che gli altri sappiano già di cosa hai bisogno e allena la coerenza la costanza, poiché quando si mettono dei limiti bisogna
- essere sempre pronti a mantenerli attivi senza cedere troppo spesso.
Mettere dei limiti non significa difendere a spada tratta la nostra opinione e i nostri pensieri, imponendoli su quelli degli altri. Non significa neanche essere sinceri in ogni momento, senza badare a cosa pensano o provano gli altri.
Significa far sapere alle altre persone di cosa abbiamo bisogno e cosa desideriamo, anche se non corrisponde ai loro desideri. Consiste nell’esprimere ciò che vogliamo e ciò che non vogliamo, ma senza dimenticarci dei desideri o dei bisogni altrui, tenendo quindi sempre a mente cosa provano o pensano gli altri.
È grazie a essi che ci sentiamo protetti mentalmente e fisicamente, rappresentano un rifugio dove sentiamo che nessuno può aggredirci con i suoi commenti o comportamenti.
Dire di no è un diritto che devi riconoscere a te stesso e a chiunque altro. Se non riconosci questo diritto non c'è differenza tra chiedere un favore e pretendere che gli altri ti ubbidiscano.
Non voglio dire che bisogna dire di no a prescindere. Bisogna imparare a poter dire di no, in maniera assertiva, senza sentirsi in colpa.
Quanto questo tipo di schemi va poi ad influenzare i nostri figli e i rapporti che loro avranno, in futuro, con i propri partner? É possibile liberarsene?
Partiamo dalla considerazione che i nostri figli copiano i nostri comportamenti. Non è tanto importante quello che gli diciamo, le parole che usiamo, ma i concetti che traspariscono dai nostri comportamenti. Non possiamo pensare, ad esempio, di mostrare loro quotidianamente una coppia genitoriale dove uno dei due partner ha una modalità aggressiva e l’altro una modalità passiva e lamentarci poi se il bambino attua uno di questi due comportamenti.
Bisogna considerare che per i bambini quello che fanno i genitori è sempre giusto, ne consegue che anche una modalità non appropriata verrà legittimata nella testa del bambino.
I bambini che assistono alla violenza del padre sulla propria madre o che la subiscono direttamente tendono a riproporla da adulti. In questi casi, i tassi di violenza da parte del partner quadruplicano e le bambine che ne sono testimoni o che la subiscono, tendono a tollerala tre volte più delle altre.
Sta a noi quindi dare il buon esempio, mostrando ai figli che la comunicazione è fondamentale in qualsiasi rapporto, ma non solo la comunicazione piacevole, anche il parlare apertamente dei problemi, discutere quando è necessario per poter trovare dei compromessi familiari. I bambini non devono aver paura delle discussioni, l’importante è che il confronto sia funzionale e nel massimo rispetto reciproco. Noi stessi, se ci pensiamo, probabilmente riconosciamo nei nostri comportamenti gli stessi che abbiamo visto nella nostra famiglia quando eravamo piccoli. Possiamo cambiare? Certo, l’importante è essere consapevoli di quale atteggiamento percepiamo come disfunzionale e, grazie alla comunicazione e alla comprensione reciproca, lavorare sul miglioramento di questi aspetti.
Quanto è importante lavorare sulla comunicazione, dire le cose, non sentirsi in colpa (assertività)?
L’assertività è un comportamento comunicativo che si basa sulla capacità di esprimere i propri pensieri, sentimenti, opinioni e bisogni in modo chiaro, diretto e rispettoso.
Consente alle persone di far valere i propri punti di vista, bisogni ed esigenze nel pieno rispetto delle esigenze e dei diritti altrui. L’assertività si pone lungo un continuum in cui da un estremo troviamo comunicazioni e comportamenti aggressivi (nei quali non c’è rispetto dei bisogni dell’altro) e dall’altra comunicazioni e comportamenti passivi (nei quali non si riesce a far valere i propri bisogni). I due opposti, aggressività e passività, conducono entrambi alla creazione di relazioni insoddisfacenti e frustranti. L’assertività invece favorisce la creazioni di relazioni positive e significative ed ha importanti riflessi sul benessere personale
Essere assertivi richiede fiducia in sé stessi, empatia verso gli altri e la capacità di gestire le emozioni in modo appropriato. È una competenza sociale importante che può migliorare la comunicazione interpersonale e la qualità delle relazioni.
Chi adotta uno stile di comunicazione assertivo infatti è in grado di riuscire ad esprimere e comunicare i propri vissuti interiori, senza però arrecare danno all’altro, senza aggredire, offendere o costringere l’interlocutore ad esprimere consenso con il nostro punto di vista. L’assertività non solo migliora notevolmente la capacità di comunicare in modo soddisfacente, ma crea di conseguenza rapporti migliori tra le persone.
La struttura concettuale dell’assertività è basata sulla funzionalità di cinque livelli, ognuno dei quali ne definisce un aspetto:
riconoscere le emozioni, il cui obiettivo riguarda l’autonomia emotiva e la percezione delle emozioni.
capacità di comunicare emozioni e sentimenti, anche negativi, attraverso molteplici strumenti comunicativi e riguarda la libertà espressiva.
consapevolezza dei propri diritti e la capacità di avere rispetto per sé e per gli altri;
disponibilità ad apprezzare sé stessi e gli altri, che implica la stima di sé e la capacità di valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza.
capacità di autorealizzarsi e poter decidere sui fini e gli scopi della propria vita: per raggiungere tale obiettivo è necessario possedere un’immagine positiva di sé, fiducia e sicurezza personale.
Queste azioni vengono poste in essere nella totale assenza di senso di colpa o di vergogna e senza che il soggetto tema il giudizio altrui o che, peggio ancora, esprima paura nell’esporsi.
Benefici della comunicazione assertiva
La comunicazione assertiva porta con sé numerosi benefici sia per l’individuo che per le relazioni interpersonali. Alcuni dei principali benefici della comunicazione assertiva includono:
minore stress e ansia;
migliore espressione di sé e aumento dell’autostima;
migliore gestione del tempo;
risoluzioni dei conflitti;
migliori relazioni interpersonali;
maggiore autoconsapevolezza.
Il livello di autostima infatti, sembra essere direttamente proporzionale al livello di assertività che si riesce a mettere in gioco nei confronti degli attori sociali con i quali ci si relaziona. Essere capaci di dar valore ai propri bisogni ed esprimerli in maniera adeguata senza lasciarsi invadere dalle necessità e dalle opinioni dell’altro o senza il bisogno di imporli a tutti i costi, ci permette di percepirci come persone consapevoli e integre, piene di valore e centratura.
Come? Alcune strategie di linguaggio e comunicazione assertiva:
adottare la prima persona singolare risulta essere una scelta non aggressiva (come potrebbe accadere adottando il tu) e non manipolatoria (quando scegliamo di adottare il noi)
usare verbi di opinione, appunto in prima persona singolare. Frasi come: “Io ritengo”, “Io credo”, “Penso che” sono tutti strumenti linguistici che permettono a chi li pronuncia di rimanere centrato sulla espressione di sé e della propria opinione, o stato d’animo
aderire ai fatti senza generalizzare, dal momento che l’interlocutore potrebbe percepire la generalizzazione, “Arrivi sempre in ritardo!”, come un’accusa piuttosto che la constatazione di un fatto: “Sono le quattro, avevamo appuntamento alle tre e mezza”
esprimere i propri stati d’animo rispetto al comportamento dell’altra persona. In questo modo chi abbiamo di fronte diventa consapevole delle conseguenze delle azioni: “Se mi interrompi non riesco più a parlare”
rimanere saldi nella propria opinione. Spesso può essere necessario prepararci, prima di un discorso complesso, delle frasi che rafforzino il nostro obiettivo o il nostro punto di vista: “Ho capito… e voglio chiudere l’abbonamento con il vostro operatore…”, oppure: “Le ripeto, non voglio essere convinto, voglio rescindere il contratto perché è un mio diritto”.
Durante una conversazione complessa, possiamo avere anche la necessità di criticare il comportamento che abbiamo subìto senza per questo cadere nella trappola del ricatto o dell’aggressività. Per fornire una critica assertiva bisogna quindi:
fare riferimento al comportamento, e mai alla persona. “La pasta è scotta”, è una frase preferibile a: “Non sai cucinare”.
dichiarare il proprio punto di vista, mettendo da parte ogni facile giudizio su altri. “Sono triste per le parole che hai detto, non me le aspettavo”, va adottata rispetto a: “Sei una persona insensibile ed egoista!”
esprimere chiaramente il comportamento che ci aspettiamo. “Vorrei davvero che riuscissi ad ascoltarmi per questi 10 minuti. Per me è importante”
esprimere apprezzamento e fiducia su chi abbiamo di fronte e sulle sue capacità: “Ti conosco da anni, mi fido di te e so che sei in grado di fare quanto ti ho chiesto”.
Con questi accorgimenti si mantiene così il dialogo aperto, si favorisce un miglioramento della comunicazione e delle prestazioni e si aumenta la propria e l’altrui autostima.
Bisogna dire di no in maniera assertiva e con calma. E' meglio essere diretti ed evitare scuse. Le scuse possono ridurre l'ansia o il senso di colpa ma spesso passano per finte. Le persone solitamente apprezzano - e stimano - di più chi parla direttamente.
È importante ricordare che l’assertività passa anche attraverso il linguaggio non verbale. Pertanto, se si desidera essere assertivi, bisogna non dimenticare di guardare dritto negli occhi, senza fissare, il proprio interlocutore ed esprimersi con tono di voce alto e una pronuncia scandita.
La comunicazione è lo strumento più potente a nostra disposizione, in qualsiasi relazione. È il pilastro fondamentale su cui si fondano le interazioni con gli altri.
Una relazione basata su preconcetti è una relazione tossica? Ovvero quando parliamo di relazione tossica?
L’amore è spesso considerato una forza positiva, un legame che arricchisce e sostiene. Tuttavia, i rapporti dove la comunicazione, i limiti e il rispetto sono mancanti, si possono creare diverse difficoltà, con anche la possibile evoluzione di sintomatologia pesante, come ansia e depressione.
Un accenno lo merita anche la dipendenza affettiva, situazione in cui il desiderio di amore e approvazione può trasformarsi in qualcosa di oppressivo e doloroso. Questa condizione, purtroppo, è molto più comune di quanto si possa pensare e porta chi ne soffre a vivere un rapporto sbilanciato, in cui il proprio benessere emotivo dipende esclusivamente dall’altro.
La dipendenza affettiva è una condizione psicologica caratterizzata da un bisogno eccessivo e ossessivo di ricevere amore, attenzione e conferme da parte del partner o, più in generale, da una figura di riferimento. Chi soffre di questa dipendenza tende a mettere l’altro su un piedistallo, sacrificando i propri bisogni e desideri pur di mantenere il rapporto, anche quando questo è palesemente dannoso.
Le persone affette da dipendenza affettiva vivono costantemente con la paura dell’abbandono e dell’isolamento, e spesso si sentono incomplete o inadeguate senza la presenza costante dell’altro. Questo le porta a tollerare comportamenti inaccettabili, come l’abuso emotivo o fisico, pur di non perdere la relazione.
Le radici della dipendenza affettiva affondano spesso nell’infanzia. Bambini cresciuti in contesti familiari instabili o in cui non hanno ricevuto un adeguato supporto emotivo possono sviluppare, da adulti, un forte bisogno di approvazione e amore esterno per sentirsi validi. In questi casi, l’amore diventa una sorta di “stampella” emotiva, necessaria per colmare vuoti interiori e insicurezze profonde.
Tuttavia, questa condizione può svilupparsi anche in età adulta, a seguito di relazioni particolarmente significative o traumatiche. Un partner particolarmente dominante, manipolatore o che fornisce amore in modo intermittente può alimentare questo ciclo di dipendenza. Il bisogno di mantenere la relazione diventa così forte che la persona dipendente si trova a giustificare anche i comportamenti più tossici.
Nel tempo le donne siano cambiate? C'è oggi più indipendenza, più comunicazione, più voglia di stare bene?
Per molti secoli, fin dall’inizio della storia del mondo, gli umani hanno vissuto con la convinzione che ai maschi e alle femmine spettassero ruoli e comportamenti diversi. Questo modo di vivere ha favorito lo sviluppo di una serie di stereotipi, ovvero pensieri elaborati per convenzione, cioè per abitudine, ma non fondati su fatti certi, veri o scientifici.
“La donna deve fare le pulizie, cucinare per i suoi figli, essere una brava mamma e moglie. L’uomo deve lavorare, fare carriera e provvedere al mantenimento della sua famiglia.”
Questa considerazione dell’uomo come padrone viene da molto lontano, dalla concezione delle famiglie patriarcali.
Con il passare dei secoli l’uomo ha continuato a mantenere il controllo della famiglia e della casa e il potere sulle decisioni di tutti i componenti.
Ancora oggi, nonostante le evoluzioni e gli studi di genere, sono in molti a considerare gli uomini come superiori e a parlare delle donne come appartenenti al cosiddetto “sesso debole”, rinforzando l’idea che sia l’uomo a dover decidere per la donna.
Queste convinzioni determinano e favoriscono fenomeni di discriminazione e violenza. Si tratta di azioni fisiche o verbali, compiute contro le donne, con lo scopo di escluderle, ferirle, privarle della libertà di poter scegliere cosa fare della propria vita. Azioni spesso legittimate inconsciamente dalle donne a causa di questi pregiudizi di genere così radicati, portandole ad accettare limitazioni relative ai loro ruoli come madre o moglie, assopendo le necessità e i desideri.
C’è ancora molta strada da percorrere, ma sicuramente ho notato negli ultimi anni e, in particolare, nelle nuove generazioni, una forte spinta verso la protezione dei propri diritti, grazie alla comunicazione e agli agiti, volti a richiedere il rispetto e la libertà meritati.
https://it.wikipedia.org/wiki/Assertivit%C3%A0
https://www.paolettapsicologo.com/blog/che-cosa-e-l-assertivita-e-come-svilupparla/
https://www.stateofmind.it/assertivita/
https://www.ospedalemarialuigia.it/psicologia-applicata/assertivita/
https://psiche.santagostino.it/assertivita/
https://letteredallafacolta.univpm.it/alcuni-casi-di-pregiudizi-e-stereotipi-presenti-nella-societa-contemporanea/